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Riflessi Pandemia su sistema delle fonti del diritto in italia
Typology: Thesis
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Parlando di fonti del diritto sono possibili diverse classificazioni. Lo scopo delle fonti del diritto è duplice e proprio in riferimento a questo aspetto la prima, forse più importante distinzione è quella tra fonti di produzione e fonti di cognizione. Le “fonti di produzione” hanno appunto lo scopo di produrre diritto, pertanto si identificano con gli atti e i fatti che l’ordinamento riconosce idonei a produrre norme giuridiche, mentre le “fonti di cognizione” del diritto sono invece rappresentate da testi normativi (Costituzione della Repubblica Italiana, Gazzetta Ufficiale, codici…), contenenti norme giuridiche già formate di cui assicurano la conoscibilità legale. La legge, fonte del diritto per antonomasia, viene in considerazione sotto entrambi i profili: come fonte di produzione, in riferimento al processo di formazione delle leggi previsto agli artt. 70 e ss. della Costituzione, e come fonte di cognizione, in veste di atto normativo già esistente, contenente norme giuridiche vigenti. All’interno delle fonti di produzione è possibile distinguere tra fonti-atto e fonti-fatto. Le fonti-atto sono appunto atti giuridici, norme scritte emanate da organi cui l’ordinamento ha riconosciuto la titolarità del relativo potere mentre le fonti-fatto si identificano invece con azioni e comportamenti (i c.d. usi e consuetudini) che in presenza di determinati presupposti, l’ordinamento reputa idonei a produrre norme giuridiche. In un ordinamento di civil law come quello italiano si registra una netta prevalenza delle fonti-atto rispetto ad usi e consuetudini, che hanno portata residuale e meramente integrativa. Un’altra importante tipologia di fonti del diritto è rappresentata dalle fonti sulla produzione. Si tratta di atti che disciplinano la produzione delle norme giuridiche, individuando i soggetti deputati ad adottarle e definendo le relative procedure, oltre a regolare l’efficacia delle norme all’interno dell’ordinamento giuridico.
Nel nostro sistema costituzionale la fonte sulla produzione per antonomasia è ovviamente la Costituzione, che tuttavia spesso rinvia, più o meno esplicitamente, a fonti di livello primario per disciplinare alcune fasi del procedimento di formazione degli atti normativi. Tipico esempio è l’articolo 77 della Carta costituzionale, fonte sulla produzione dei decreti legge. L’indicazione delle fonti del diritto italiano è contenuta all’art. 1 delle “Disposizioni sulla legge in generale” che precedono il codice civile, comunemente dette “preleggi”, ma risulta incompleta in quanto le preleggi sono entrate in vigore assieme al codice civile nel 1942, quindi non tengono conto né dell’avvento della Costituzione, né dell’adesione dell’Italia alla Comunità Europea prima e all’Unione Europea poi e neppure dell’avvento dell’autonomia legislativa regionale. Di conseguenza il sistema di fonti del diritto delineato dalle preleggi è particolarmente scarno e comprende soltanto: le leggi; i regolamenti; gli usi. Sistema che dovrà quindi essere integrato e comprenderà: principi fondamentali e diritti inviolabili sanciti dalla Costituzione della Repubblica Italiana (c.d. “nucleo rigido”); Costituzione della Repubblica Italiana (non “nucleo rigido”), leggi costituzionali e di revisione costituzionale, altre fonti di rilievo costituzionale (diritto primario della Comunità Europea e dell’Unione, convenzioni internazionali); fonti primarie (leggi ordinarie dello Stato e atti aventi forza di legge, leggi regionali); fonti secondarie (regolamenti governativi, regolamenti regionali e degli enti locali); usi e consuetudini. Il sistema di fonti sopra indicato può essere rappresentato graficamente come una piramide (c.d. piramide di Kelsen), al cui vertice sono collocate le fonti di rango più alto (Costituzione e leggi di rilievo costituzionale) e via via quelle di livello inferiore, man mano che si discende verso la base. Esiste dunque una vera e propria gerarchia delle fonti e delle norme giuridiche da esse prodotte, che consente anche di risolvere eventuali contrasti tra fonti giuridiche coeve ma dotate di forza giuridica diversa. Il criterio gerarchico sancisce infatti la prevalenza della fonte di rango
in posizione paritaria rispetto alle fonti costituzionali e di rilievo costituzionale e in posizione sovraordinata rispetto alle fonti primarie dell’ordinamento italiano. Altre fonti di livello costituzionale, anch’esse ugualmente soggette ai limiti previsti per la revisione, sono le norme di diritto internazionale generalmente riconosciute. Norme dunque non scritte ma di natura consuetudinaria, che entrano a far parte dell’ordinamento delle fonti di diritto interno tramite il meccanismo di adattamento automatico previsto all’art. 10 primo comma della Costituzione, secondo cui “L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute Sono fonti c.d. “primarie” del diritto italiano quelle previste e disciplinate direttamente in Costituzione e collocate, a livello gerarchico, in posizione immediatamente subordinata alla Costituzione stessa e alle fonti di rilievo costituzionale. Si parla di tassatività e tipicità delle fonti primarie del diritto perché nessun’altra fonte che non sia la Costituzione o abbia egual rango può prevederne. Sono fonti primarie: le leggi ordinarie statali, gli atti aventi forza di legge, le leggi delle Regioni e delle province autonome. La legge ordinaria è l’atto deliberato dalle due Camere del Parlamento all’esito del complesso iter procedurale previsto, nei suoi tratti essenziali, all’art. 70 della Costituzione e disciplinato più nel dettaglio dai regolamenti parlamentari. Sullo stesso piano della legge ordinaria si collocano i c.d. “atti aventi forza di legge”, adottati dal Governo in via eccezionale e in deroga al richiamato principio di cui all’art. 70 della Costituzione, che appunto riserva al Parlamento l’esercizio della funzione legislativa. Sono atti aventi forza di legge i decreti legge e i decreti legislativi. I decreti legislativi sono adottati dal Governo in materie, tendenzialmente complesse o particolarmente specifiche, previa delega del Parlamento all’esercizio di tale funzione. A norma dell’art. 76 Cost. la delega deve necessariamente indicare: l’oggetto dell’intervento normativo, i principi e i criteri direttivi cui il Governo deve attenersi nel legiferare e un intervallo temporale limitato entro il quale dev’essere emanato il decreto. I decreti legge sono invece atti aventi forza di legge emanati dal Governo in casi straordinari di necessità ed urgenza, nei quali non è possibile attendere l’esito dell’iter legislativo ordinario né l’emanazione di una legge delega. La peculiarità di questi atti è la precarietà del loro contenuto normativo infatti il Governo, una volta adottati i decreti, deve presentarli il giorno stesso
alle Camere affinché li convertano in legge, infatti secondo l’art. 77 Cost. la mancata conversione in legge dei decreti entro 60 giorni dalla loro pubblicazione ne determina la perdita di efficacia sin dalla loro adozione. Allo stesso livello gerarchico delle leggi ordinarie statali si collocano le fonti normative primarie delle Regioni tra cui: leggi regionali, ivi comprese quelle di approvazione degli Statuti delle Regioni ordinarie e ad autonomia speciale e leggi delle Province autonome di Trento e di Bolzano. Mentre le fonti di livello costituzionale e quelle primarie rappresentano necessariamente un “numero chiuso”, essendo solo quelle previste dalla Costituzione e non potendo subire integrazioni da parte del legislatore ordinario, lo stesso non può dirsi per le fonti secondarie. Il decentramento amministrativo che connota l’ordinamento italiano ha dato luogo a sistemi di fonti secondarie di tipo statale, regionale e delle autonomie locali tra loro indipendenti. Per cui abbiamo fonti secondarie di natura statale che sono i regolamenti governativi, i quali nella scala gerarchica delle fonti si collocano appunto al di sotto delle fonti primarie. L’art. 17 della L. n. 400/1988 ne indica tipologie, finalità e modalità di adozione dei regolamenti, prescrivendo che sono deliberati dal Consiglio dei Ministri e assumono la veste formale di decreti del Presidente della Repubblica. A livello regionale e locale le fonti normative secondarie sono rappresentate dai regolamenti regionali - in ragione della potestà regolamentare delle Regioni, prevista all’art. 117 sesto comma della Costituzione - e dai regolamenti degli enti locali. La riforma Costituzionale, attuata con Legge n. 3/2001, ha significativamente ampliato la potestà regolamentare su entrambi i fronti: le Regioni possono infatti emanare regolamenti non solo nelle materie di loro competenza esclusiva ma anche in quelle oggetto di potestà legislativa concorrente e addirittura in alcune materie di esclusiva competenza statale, previa ovviamente la delega dello Stato ad operare in tal senso. Quanto agli enti locali la riforma ha valorizzato anche la relativa potestà regolamentare, da esercitare per disciplinare l’organizzazione e lo svolgimento delle funzioni loro attribuite con legge dello Stato o della Regione. Subordinate alle fonti primarie e secondarie sono quelle di natura consuetudinaria in specie gli usi e le consuetudini, che in presenza di determinati presupposti assurgono al rango di fonti del diritto, le già menzionate fonti-fatto. La consuetudine è una norma di comportamento non scritta, che ha rilevanza collettiva, che viene regolarmente seguita nel gruppo sociale o nell’ambito territoriale interessato dalla norma nella convinzione che ciò sia giusto o necessario, mentre gli usi sono menzionati all’art. 8 delle “preleggi”, che li riconosce efficaci nelle materie regolate
Lo stato emergenziale che stiamo vivendo ha indotto quindi tutti i livelli di governo ad utilizzare proprio gli strumenti giuridici emergenziali allo scopo di cercare di contenere l’avanzata del virus Covid-19. Da ciò è scaturito un flusso continuo di atti normativi. Il 25 gennaio 2020 è stata adottata la prima ordinanza contingibile ed urgente del Ministro della Salute ai sensi dell’art. 32 legge n. 833/1978, per disporre il potenziamento della sorveglianza sanitaria rispetto ai passeggeri provenienti con volo diretto dalle aree interessate dai primi focolai virali e il potenziamento del reclutamento del personale sanitario. Il 30 gennaio 2020 l’Organizzazione Mondiale della sanità ha definito l’epidemia da Covid-19 un’emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale. Il giorno successivo il Consiglio dei Ministri ha dichiarato lo stato di emergenza con propria delibera ai sensi del Codice della Protezione Civile(d.lgs.n°1/2018) così come previsto in occasione anche di calamità naturali.^1 Questo atto ha dato via all’emergenza sanitaria e ha attribuito il potere di ordinanza al capo del Dipartimento della protezione civile in deroga ad ogni disposizione vigente e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico. Di conseguenza, il 3 febbraio è stata adottata una prima ordinanza del Capo del Dipartimento della Protezione Civile per coordinare gli interventi necessari al soccorso e all’assistenza alla popolazione interessata dall’emergenza, per garantire il funzionamento dei servizi pubblici e disporre l’istituzione dell’oramai noto Comitato tecnico-scientifico. Dopo settimane, precisamente il 23 febbraio 2020 (DL 6/2020) , il Governo ha poi adottato un primo decreto-legge, recante “Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19”, e contestualmente il Presidente del Consiglio ha adottato un DPCM recante “disposizioni attuative” di tale decreto-legge. I DPCM emanati successivamente in tutto il periodo pandemico hanno trovato legittimzione nel DL n° 6/2020 e nel DL 19/2020, tra questi ricordiamo: il DPCM 4 Marzo 2020 che prescrive la sospensione delle manifestazioni e degli eventi in luogo pubblico o aperto al pubblico dove non si potesse garantire la distanza interpersonale di un metro; il DPCM dell’8 Marzo 2020, che prevedeva il divieto di assembramento di persone in luoghi pubblici o aperti al pubblico e così anche la sospensione delle cerimonie religiose e in più il divieto di spostamento da alcuni territori individuati specificamente poi esteso all’intero territori nazionale. (^1) CANALE G., “Coronavirus e Costituzione”
DPCM 9 Marzo 2020 che estende all’intero territorio nazionale i divieti del decreto precedente dando inizio al Lockdown italiano. Tutti questi interventi normativi appaiono come un cambiamento di rotta da parte del Governo in quanto se in un primo momento quindi si sono avuti interventi normativi incentrati sul sistema della protezione civile e poi successivamente col progressivo aggravarsi della situazione, su quelli dell’emergenza sanitaria dando luogo così ad un meccanismo di decreti- legge accompagnati da interventi tramite decreti del Presidente del Consiglio^2 Questa nuova prassi dell’uso della decretazione d’urgenza come evidente si è discostata da quella del modello costituzionale, sia che si parli di” abusi patologici”^3 sia anche che si parli di invece rapida risposta degli organi di governo alle domande e istanze sociali^4. Non tanto si pongono questioni sui requisiti della straordinarietà del caso o sulla necessità ma bensì sul requisito dell’urgenza. La prassi ci ha abituati ad intendere tale carattere come riferito al “ provvedere” non al “provvedimento”^5 prova sia che anche in questa emergenza si è assistito a decreti- legge anche annunciati mesi prima della loro pubblicazione per appunto venire incontro alle richieste sociali^6. Se invece lo intendiamo nella sua accezione di “ autoapplicabilità ” come esplicitato fin dall’art.15, c.3, della legge n° 400/1988, si possono notare delle forzature^7. Infatti si può notare come i decreti- legge rinviino spesso ad altre fonti, rendendo quasi questo rinvio ad altri atti la stessa ragione d’essere di quei decreti- legge^8. L’impressione data è che si sia venuto a creare un “ microsistema di fonti” dove i decreti- legge non si limitano ad essere fonti di produzione che contengono misure per fronteggiare l’emergenza ma vere e proprie fonti sulla produzione di altri atti giuridici di varia natura attraverso cui affrontare l’emergenza 9. Il modo dunque con cui avviene questo richiamo , la mancanza di (^2) C.Pinelli, “Il precario assetto delle fonti impiegate nell’emergenza sanitaria e gli squilibrati rapporti fra Stato e Regioni”, in Astrid Rassegna, n°5/2020. (^3) CELOTTO A., “L’abuso del decreto legge” CEDAM, Padova 1997. (^4) LONGO E., “La legge precaria. Le trasformazioni della funzione legislativa nell’età dell’accelerazione”, Giappichelli, Torino 2017. (^5) ESPOSITO C., “Decreto- legge ”,in Enciclopedia del diritto, vol.1, (^6) MOBILIO G., La decretazione d’urgenza alla prova delle vere emergenze. L’epidemia da Covid-19 e i rapporti tra decreto legge e altre fonti, in Osservatorio sulle fonti, Fascicolo speciale/2020. (^7) MOBILIO G., La decretazione d’urgenza alla prova delle vere emergenze. L’epidemia da Covid-19 e i rapporti tra decreto legge e altre fonti, in Osservatorio sulle fonti, Fascicolo speciale/2020. (^8) MOBILIO G., La decretazione d’urgenza alla prova delle vere emergenze. L’epidemia da Covid-19 e i rapporti tra decreto legge e altre fonti, in Osservatorio sulle fonti, Fascicolo speciale/2020.
In questo periodo emergenziale la mancanza di una disciplina dello stato di emergenza costituzionale ha reso ancora più complicato il rapporto fra Governo e Parlamento. La base in questi mesi per l’azione normativa del Governo è stata prima che dei decreti- legge emanati durante l’emergenza, dal decreto legislativo n°1 del 2018, o per meglio dire il Codice della Protezione Civile. Questo codice ha reso più lineare la disciplina delle competenze del Governo in materia di protezione civile e gestione delle calamitosi. Il Sistema Nazionale di Protezione Civile è composto Presidente del Consigli dei ministri insieme a Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome, ai Sindaci Metropolitani e ai Sindaci. Per quanto riguarda i poteri del Presidente del Consiglio il Codice stabilisce che ad esso spettino i poteri di ordinanza da esercitare tramite il Capo del Dipartimento della Protezione Civile, salvo emergenze particolari dove si debba procedere con deliberazione del Consiglio. Al Governo è chiesto di relazionare annualmente al Parlamento sulle attività di Protezione Civile e sull’utilizzo dei relativi fondi istituiti. Per quanto riguarda le emergenze nazionali il Presidente del Consiglio dei ministri è titolare del potere di dichiarare con proprio decreto lo stato di mobilitazione nazionale qualora si verifichino in ambito regionale eventi che possano compromettere la vita, l’integrità fisica o beni i primaria importanza, per i quali le Regioni abbiano già dispiegato le risorse disponibili. In capo all’esecutivo sta la dichiarazione dello stato di emergenza nazionale, che viene assunta con deliberazione del Consiglio dei ministri in base ad una valutazione operata dal Capo del Dipartimento della Protezione Civile su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri ed eventualmente di una Regione o Provincia Autonoma interessata. Tale stato di emergenza può essere deliberato per un massimo di dodici mesi eventualmente prorogabili sempre con deliberazione del Consiglio ed autorizza il capo del Dipartimento della protezione civile ad esercitare il relativo potere di ordinanza per l’attuazione dei provvedimenti tecnici. Sulla base di ciò il 31 Gennaio 2020 il Consiglio dei ministri ha dichiarato lo stato d’emergenza nazionale per sei mesi e il Capo del Dipartimento di protezione Civile è stato autorizzato ad esercitare il potere di ordinanza. Nel caso quindi di questa prima deliberazione il Governo ha utilizzato l’ordinaria procedura prevista dal Codice della Protezione Civile, senza consultazione delle Camere, mentre successivamente per la sua proroga approvata il 29 Luglio 2020
Il Presidente del Consiglio dei ministri ha comunicato al Parlamento di procedervi con un’informativa veloce, tenuta dopo un Consiglio dei ministri dove se ne è valutata l’adozione o meno. Negli impegni posti all’esecutivo dal Parlamento, oltre al termine dello stato d’emergenza nazionale il 15/10/2020 sono stati recepiti quelli di fissare con norma primaria le eventuali misure di limitazione delle libertà fondamentali e ad assicurare il coinvolgimento del Parlamento e delle Regioni nella gestione della stessa.^13 Il gran numero di atti di natura secondaria, tra DPCM , ordinanze i Protezione Civile emanate nel periodo emergenziale e la loro influenza su numerosi aspetti della vita quotidiana ha fatto emergere il peso del Governo ponendo una vistosa deroga alla nostra forma di governo parlamentare. Si sono potuti osservare due diversi atteggiamenti da parte del Governo nei riguardi del Parlamento. In un primo momento i DPCM emanati tra il 23 Febbraio e l’11 Marzo 2020 sono stati emanati sulla base e in attuazione del decreto- legge n°6 del 23 Febbraio in cui tra l’altro all’art.3 si stabiliva che essi sarebbero stati adottati “ su proposta del Ministero della salute, sentito il Ministero dell’interno, il Ministero della difesa ,il Ministero dell’economia e delle finanze e gli altri ministeri competenti per materia, nonché i presidenti delle Regioni competenti, nel caso in cui riguardino esclusivamente una sola regione o alcune specifiche regioni, ovvero il presidente della Conferenza dei presidenti delle regioni, nel caso in cui riguardino il territorio nazionale. I DPCM non prevedendo pareri degli organi Parlamentari e quindi non danno a questi nessuno spazio tranne che in sede di conversione del dl. In un secondo momento si è avuto un cambiamento con l’approvazione e la conversione del dl n° 19 del 25/03/2020, che all’art. 2 ha stabilito la comunicazione alle Camere dei DPCM entro il giorno successivo alla loro pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e soprattutto l’obbligo da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri o per un Ministro delegato di riferire sulle misure adottate per il contrasto del contagio al Parlamento ogni quindici giorni. Sulla base di ciò diversi componenti dell’esecutivo in questa fase denominata “fase due” si sono presentati presso le Camere a rendere conto degli adempimenti dei relativi ministeri. Un altro momento di confronto tra Governo e Parlamento si è avuto con la delibera sullo “scostamento di bilancio”. Essa è un atto di competenza parlamentare così come previsto dall’art. 81 c.2 Cost.,e stabilisce che lo Stato possa ricorrere all’indebitamento solo al verificarsi di eventi eccezionali e con l’autorizzazione delle Camere a maggioranza assoluta. In questa occasione il Consiglio di ministri ha approvato due relazioni integrative della nota di aggiornamento al (^13) LAURI G:, “ Coronavirus e Costituzione”,UPI 2020
Oltre ad essi ha avuto risalto nonché il Comitato di esperti in materia economica e sociale, nominato con DPCM del 10 Aprile 2020 e presieduto dal manager Vittorio Colao, composto da 17 membri poi arrivati a 22, oltre al Presidente , al Capo del Dipartimento della Protezione Civile e al Commissario per l’emergenza, è stato creato per elaborare e proporre al Presidente del Consiglio misure necessarie per fronteggiare l’emergenza e per la ripresa graduale dei diversi settori delle attività sociali, economiche e produttive, anche questi hanno svolto a titolo gratuito la loro opera, salvo rimorso spese. Il loro lavoro è stato condensato nel rapporto “Iniziative per il rilancio – Italia 20202-2022”che a sua volta è stato un momento di confronto fra Governo e parti sociali.
Alcune disposizioni contenute nei decreti- legge emanati, e non ancora convertiti, sono state oggetto di abrogazione ad opera di successivi d.l. Prima di tale circostanza, vi era stato un unico precedente in epoca recente: il d.l. su Alitalia del dicembre 2019 (2 dicembre 2019, n. 137) aveva abrogato un articolo (il n. 54) del d.l. 26 ottobre 2019^14. Nell’emergenza attuale da Coronavirus, invece, tale situazione si è ripetuta più e più volte. Ricordiamo ad esempio il decreto-legge n. 18 del 2020 che ha abrogato l’art. 29 del d.l. n. 9 del 2020 e gli art. 1, 2, 3 e 4 del d.l. n. 11 del 2020 (mantenendone in vita, dunque soltanto due articoli: quello contenente la clausola di invarianza finanziaria e quello relativo all’entrata in vigore ). Il decreto-legge n. 19 del 2020 ha invece abrogato (oltre a disposizioni del d.l. n. 6 del 2020 già convertito), l’art. 35 del d.l. n. 9 del 2020. Ancora il d.l. n. 23 del 2020 ha abrogato gli art. 17, 49, 53, 62 comma 7, 70, del d.l. n. 18 del 2020. Infine, il d.l. n. 34 del 2020 ha abrogato gli art. 30, 32 e 34 del d.l. n. 23 del 2020. Da uno sguardo più attento si può osservare che il decreto – legge n. 18 del 2020 è insieme abrogante e abrogato: ovviamente con riferimento a diverse disposizioni. Su un diverso piano si pongono invece le ipotesi di abrogazione di disposizioni di un d.l. già convertito in legge. Ipotesi che hanno riguardato il d.l. n. 6 del 2020, convertito come si è detto nella legge n. 13 del 2020, abrogato in numerose disposizioni dal d.l. n. 19 del 20206 ; ed anche il d.l. n. 18 del 2020, convertito nella legge n. 27 del 2020, del quale ben 23 disposizioni sono state abrogate dal d.l. n. 34 del 2020. Ancora diversamente devono essere considerate le abrogazioni prodotte non dal d.l. bensì dalla legge di conversione: la legge n. 27 del 2020 (di conversione del d.l. n. 18 del 2020) ha infatti disposto l’abrogazione di ben tre d.l. (il n. 9, il n. 11 e il n. 14 del 2020). Va infine segnalato come le misure contenute nel decreto n. 9 del 2020, fatto decadere, sono in buona parte confluite anche con modifiche, nei decreti n. 18 e 23 del 2020. Si tratta di una prassi non nuova. Il Comitato per la legislazione già alla fine del 2019, dunque prima dell’emergenza Covid, in relazione al d.l. Alitalia di cui ho accennato in precedenza, aveva raccomandato al Governo di “evitare in futuro la modifica esplicita – e in particolare l’abrogazione – di disposizioni contenute in (^14) EMANUELE ROSSI, “Appunti sull’abrogazione di decreti legge in sede di conversione ad opera di successivi decreti legge nell’emergenza coronavirus” , in Osservatorio sulle Fonti, Fascicolo speciale 2020.
Ma l’abrogazione di disposizioni di un decreto- legge non esclude la possibilità di una conversione in legge dello stesso, soprattutto nell’ipotesi in cui sopravvivano all’abrogazione alcune disposizioni di quel decreto, e sia anche nell’estrema ipotesi in cui tutto il decreto- legge sia stato abrogato. Si è discusso, specie in tempi passati, della possibilità per il Governo di ritirare il disegno di legge di conversione, nel più generale contesto del ritiro dell’iniziativa legislativa, che di per sé è ammessa in quanto “esercizio del generale potere di revoca degli atti giuridici”^22 e successivamente prevista e disciplinata dall’art.2, comma 3, lett. b), della legge n. 400 del 1988. Tale potere non può ammettersi nelle ipotesi in cui l’iniziativa governativa ha carattere obbligatorio^23 ed in questo caso l’iniziativa legislativa del disegno di legge di conversione in legge di un d.l. ha carattere vincolato o dovuto ex art. 77, comma 2, Cost.^24. In questo caso non vi è stato alcun atto di ritiro della proposta di legge di conversione e come detto l’abrogazione di un d.l. in sede di conversione non può essere in alcun modo assimilata al ritiro del disegno di legge di conversione. Per cui un d.l. non può essere più “richiamato” dal Governo, ma è nella disponibilità del Parlamento che può o meno convertirlo in legge. Ammettendo ciò che afferma il Comitato per la legislazione, si dovrebbe ritenere sussistente il potere del Governo , mediante l’abrogazione, di sottrarre al Parlamento la conversione in legge di un decreto- legge emanato ed entrato in vigore , in potenziale contrasto con l’art. 77 Cost.^25. Al termine poi dei 60 giorni senza che sia stata approvata la legge di conversione di un decreto-legge si ha la sua decadenza per mancata conversione in legge, parte della dottrina ritiene però che anche “la certezza della mancata conversione nei 60 giorni produce l’effetto della decadenza del decreto-legge”^26 , questa certezza può esser determinata soltanto da una votazione di un ramo del Parlamento contraria al disegno di legge di conversione e la cui notizia ai sensi della legge n. 400 del 1988, deve essere immediatamente pubblicata nella Gazzetta Ufficiale^27. L’abrogazione del d.l., non determina tale certezza, in quanto non può escludersi la volontà del Parlamento di convertire in legge il primo d.l. ed anche eventualmente di non convertire il secondo, cioè quello abrogante. (^22) PIZZORUSSO A., “Delle fonti del diritto”, Zanichelli- Il foro italiano, Bologna-Roma 1977. (^23) CICCONETTI S.M., “ Il potere di ritiro nel procedimento di formazione delle leggi” in Rivista trimestrale Diritto Pubblico,. (^24) CICCONETTI S.M., “ Le fonti del diritto italiano” III ed.,Giappichelli, Torino 2017. (^25) EMANUELE ROSSI, “Appunti sull’abrogazione di decreti legge in sede di conversione ad opera di successivi decreti legge nell’emergenza coronavirus” , in Osservatorio sulle Fonti, Fascicolo speciale 2020. (^26) ESPOSITO C.,” Decreto –legge” in Enciclopedia del diritto, vol. XI, Milano 1962. (^27) Art. 16 c. 6, Legge n°400/1988.
Alla luce di ciò, si ricava che l’effetto della decadenza ex tunc, cui si riferisce il Comitato per la legislazione, si produrrebbe nel momento in cui il “primo” d.l. non venisse convertito in legge. Ma prima di tale termine, il decreto-legge produce effetti fino al momento della sua eventuale abrogazione. Le disposizioni abrogate restano in vigore producendo i loro effetti dal momento della loro entrata in vigore e fino all’entrata in vigore del d.l. che le abroga 28 ; da quest’ultima data esse cessano di avere vigenza. Nel caso specifico vediamo che il primo d.l. parzialmente abrogato (n. 9 del 2020) è entrato in vigore il 3 marzo 2020; quello abrogante (n. 18 del 2020) il 18 marzo; la legge di conversione di quest’ultimo (n. 27 del 2020) è entrata in vigore il 25 aprile. Sul primo d.l., tuttavia, la certezza sulla non conversione in legge si è prodotta soltanto a seguito dello scadere dei 60 giorni dall’entrata in vigore, in quanto non vi è stata nessuna votazione in Parlamento contraria alla sua conversione quindi fino al 2 maggio non si è prodotta la decadenza del primo. Pertanto, le disposizioni di questo, abrogate dal secondo, sono rimaste vigenti dal 3 al 18 marzo; dal 18 Marzo hanno quindi cessato di avere efficacia; e dal 2 Maggio sono stati travolti gli effetti prodotti dal 3 al 18 Marzo.^29 Così è stato anche per le disposizioni del d.l. n. 11 del 2020 (entrate in vigore il 9 marzo) abrogate anch’esse dal d.l. n. 18 del 2020: in questo caso la certezza sulla mancata conversione in legge si è prodotta il 7 Maggio, per cui fino al 7 Maggio non si è prodotta la sua decadenza, è rimasto vigente dal 9 al 18 Marzo e da quest’ultima data ha cessato di essere in vigore. Dal 7 Maggio sono stati travolti gli effetti prodotti dal 9 al 18 Marzo.^30 Infine, il d.l. n. 19 del 2020 ha abrogato l’art. 35 del d.l. n. 9 del 2020: disposizione che pertanto è rimasta in vigore dal 3 marzo 2020 al 26 marzo 2020 e dal 2 maggio è decaduta, insieme a tutto il d.l. Con riguardo invece all’abrogazione delle disposizioni del d.l. n. 18 del 2020 ad opera del d.l. n. 23 del 2020, si osserva che il primo d.l. è entrato in vigore il 18 marzo e il secondo il 9 aprile. Quindi le disposizioni abrogate sono rimaste in vigore dal 19 marzo al 9 aprile. Tuttavia, in questo caso, il d.l. (parzialmente) abrogato non è decaduto, ma è stato convertito nella legge n. 27 del 2020, la quale così stabilisce all’art. 1, comma 1: “Il decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (…) è convertito in legge con le modificazioni riportate in allegato alla presente legge”. Nelle (^28) SORRENTINO F.,” Le fonti del diritto italiano”, Cedam, Padova 2009. (^29) PANDOLFELLI M., “Abrogazione di disposizioni di un decreto-legge ad opera di altro decreto-legge: l’incertezza e i problemi derivanti dall’emergenza” in Rassegna Quaderni Costituzionali,4 del 2020. (^30) PANDOLFELLI M., “Abrogazione di disposizioni di un decreto-legge ad opera di altro decreto-legge: l’incertezza e i problemi derivanti dall’emergenza” in Rassegna Quaderni Costituzionali,4 del 2020.
I d.l. abrogati, infatti, sono stati fatti decadere senza conversione in legge (così è avvenuto, al momento, per i d.l. n. 9, 11, 14 del 2020), ed i rapporti sorti sulla base di essi sono stati salvati dalla legge di conversione n. 27 del 2020, che ha convertito in legge il d.l. n. 18 del 2020 (“restano validi gli atti ed i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base dei medesimi decreti-legge 2 marzo 2020, n. 9, 8 marzo 2020, n. 11, e 9 marzo 2020, n. 14”). 33 In questa direzione si era anche espresso il Comitato per la legislazione. La formula generale introdotta nella legge n. 27 “copre” ogni possibile effetto che possa risultare “scoperto” dalle successive disposizioni. Quindi la scelta di lasciar decadere i d.l, abrogati, con salvataggio degli effetti nella legge di conversione dei d.l. abrogante, è stata sicuramente opportuna. Un caso ancora diverso è costituito dal d.l. n. 18 del 2020 che, infatti esso in parte abroga e in parte è abrogato. Nel disegno di legge di conversione del d.l. che ne abroga alcune disposizioni (d.l. n. 23 del 2020), durante l’esame in sede referente alla Camera è stato aggiunto un comma ( bis all’art. 1) che mantiene validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi i rapporti giuridici sorti sulla base delle disposizioni del d.l. (n. 18) abrogati dal d.l. in sede di conversione. Quindi, anche in questo caso, la salvezza dei rapporti giuridici sorti sulla base delle disposizioni abrogate è avvenuta con la legge di conversione in legge del d.l. abrogante.^34 In questo caso, il Servizio Studi di Camera e Senato richiama “l’opportunità di approfondire se sia necessario disporre la salvezza degli effetti dell’art. 17 (del d.l. n. 18, ndr) dato che l’articolo 40 del d.l. (n. 23 del 2020, ndr) già specifica ,diversamente di quanto disposto per le altre abrogazioni ,che l’abrogazione dell’art. 17 vale a decorrere dall’entrata in vigore del d.l. n. 23”.Sembra si voglia intendere che non abbia senso salvare gli effetti prodotti dall’art. 17 perché questi sarebbero stati salvati dalla legge di conversione per il periodo di vigenza, mentre le altre disposizioni sarebbero decadute ex tunc in forza dell’abrogazione, ma la precisazione contenuta nella disposizione di abrogazione dell’art. 17 non può avere alcun valore effettivo, in quanto tutte le abrogazioni devono ritenersi prodotte dall’entrata in vigore del d.l. abrogante (senza quindi alcun effetto di decadenza ex tunc). È evidente che si debba evitare il più possibile il ricorso all’abrogazione di d.l. in sede di conversione ad opera di altri d.l. in quanto i problemi che ciò pone sono tali da sconsigliarne (^33) EMANUELE ROSSI, “Appunti sull’abrogazione di decreti legge in sede di conversione ad opera di successivi decreti legge nell’emergenza coronavirus” , in Osservatorio sulle Fonti, Fascicolo speciale 2020. (^34) EMANUELE ROSSI, “Appunti sull’abrogazione di decreti legge in sede di conversione ad opera di successivi decreti legge nell’emergenza coronavirus” , in Osservatorio sulle Fonti, Fascicolo speciale 2020.
l’utilizzo di questa prassi normativa, sia per inopportunità che per aspetti di possibile incostituzionalità in riferimento a due profili: Il primo, prospettato anche dal Comitato per la legislazione, in riguardo ai principi di razionalità normativa e di coerenza e certezza dell’ordinamento giuridico, si ricorda, al riguardo, che la sentenza n. 107 del 2017 ha affermato che il primo tra essi deve essere considerato qualora la formulazione delle disposizioni “sia tale da potere dare luogo ad applicazioni distorte (…) o ambigue (..), che contrastino, a causa dei diversi esiti che essa renda plausibili, il buon andamento della pubblica amministrazione, da intendersi quale ordinato, uniforme e prevedibile svolgimento dell’azione amministrativa, secondo principi di legalità e di buona amministrazione”. Ed in altra decisione (n. 160 del 2016) la Corte ha espressamente affermato che “in linea di principio, possono risultare costituzionalmente illegittime , per irragionevolezza ridondante sulle attribuzioni regionali, norme statali dal significato ambiguo, tali da porre le Regioni in una condizione di obiettiva incertezza, allorché a norme siffatte esse debbano attenersi nell’esercizio delle proprie prerogative di autonomia”: e nelle vicende emergenziali da Coronavirus si è visto quanto l’incertezza del quadro normativo nazionale abbia inciso sulle competenza regionali. 35 Il secondo profilo di incostituzionalità potrebbe ravvisarsi nella circostanza che le disposizioni del d.l. abrogante producono effetti irreversibili, in potenziale violazione, quindi, del potere, attribuito dall’art. 77 Cost. alle Camere, di eliminare ogni effetto prodotto dal decreto nell’ipotesi in cui il Parlamento decida di non convertirlo in legge.^36 (^35) EMANUELE ROSSI, “Appunti sull’abrogazione di decreti legge in sede di conversione ad opera di successivi decreti legge nell’emergenza coronavirus” , in Osservatorio sulle Fonti, Fascicolo speciale 2020. (^36) CICCONETTI S. M. “Le fonti del diritto italiano”